Questo romanzo di Bartolomeo
Smaldone colpisce per almeno due motivi:
- per il contenuto davvero
inusuale, con cui -se così si può dire- l’Autore vuol rendere giustizia e
restituire dignità all’omosessualità e alla pazzia: due condizioni umane deprecate, o guardate almeno
con sospetto, spesso calpestate, ma sempre censurate e rimosse;
- per la struttura complessa, che
inanella al suo interno piani temporali, piani narrativi, vicende, personaggi
che trovano puntualmente e brillantemente la giusta collocazione, assumendo
pienezza di significato ed esaustività nell’alto messaggio di cui Bartolomeo
Smaldone vuol farsi latore.
La narrazione prende avvio da un
romanzo ‘trafugato’, da un io narrante che confessa all’inizio il progetto
folle di sostituirsi a chi aveva scritto quelle pagine, nella recondita
speranza di una possibile celebrità usurpata con la pubblicazione di quel
libro.
A partire da questo momento
narrativo, si aprono i piani diversificati della narrazione e cominciano a
sciorinarsi rimandi interni abilmente strutturati.
Su un PRIMO PIANO DELLA LETTURA,
la lettura che l’io narrante fa del romanzo trafugato, è la
storia di Lia, una giovane donna che, a sua volta trovando delle lettere
in un vecchio secretaire, scopre
l’omosessualità di sua madre. Si apre così un SECONDO PIANO DELLA LETTURA:
quello in cui è Lia che legge le lettere scambiate tra sua madre Ambra e la sua
compagna Fara; un secondo piano di lettura in cui campeggia la storia d’amore
tra Ambra e Fara adolescenti, compromessa dall’invidia, dalla grettezza e dal
perbenismo ipocrita di un ambiente piccolo borghese che, completamente risolto
nella miseria della povera dialettica “vizi privati e pubbliche virtù”, è
completamente incapace di comprendere la purezza di un sentimento la cui unica
colpa è nel porsi al di fuori
dall’ipocrisia delle convenzioni. Un
amore forte di per sé, ma fragile a fronte della cultura dominante, radicata ed
egemone e quindi capace di soffocare e vanificare senza alcuna umana pietas
chi non rientra negli schemi da essa imposti.
Questo secondo piano di lettura si interrompe con Lia
che decide di andare alla ricerca, dopo
tanti anni, di Fara “per rendere giustizia a quelle due ragazze del 1964, a quel loro amore
nato nel posto e nel tempo sbagliato.”
Si
torna così al piano di partenza, il PIANO DELLA REALTÀ, con la crisi di
coscienza dell’io narrante, che a sua volta decide di andare alla ricerca
dell’autrice del testo trafugato. A questo punto, inaspettatamente, la
narrazione si apre a un universo troppo spesso inesplorato, incompreso e
rimosso: la pazzia. Consequenziale risulta quindi, nella parte finale del
romanzo, la riflessione che l’autore
offre sulla realtà della malattia
mentale e sul messaggio rivoluzionario del grande Basaglia.
La somma di tutte queste esperienze porta infine l’io narrante a una profonda riflessione su
se stesso, che si traduce in una vera e
propria ‘rinascita’ interiore e morale.
Uno stile disteso, fluente, tanto più pregevole in una
sorta di congenita ‘solarità’ che vale a
sottolineare in modo molto profondo ed efficace la complessità delle
problematiche presenti nell’intreccio.